Terremoti, incidenti e coronavirus: la storia del Serbari, dal 1979 in soccorso degli "ultimi"
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venerdì 17 aprile 2020
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di Marianna Colasanto
«Il gruppo, così come accaduto per le altre realtà simili sparse per l'Italia, vide la luce grazie a un manipolo di "cibbisti" - racconta il 62enne Vito Frasca, veterano della squadra - ossia persone iscritte alla Federazione italiana ricetrasmettitori: praticamente degli appassionati di quelle apparecchiature che un tempo, prima dell'avvento dei cellulari, erano usate per comunicare tra amici e parenti o tra dipendenti di piccole imprese».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Quei marchingegni erano connessi alla "citizen’s band" - continua il suo collega coetaneo Giovanni Indraccolo -, quella che in italiano chiamiamo banda cittadina, con frequenze radio attorno ai 27 MegaHertz. L'idea fu proprio quella di cominciarla a sfruttare per captare le richieste di aiuto: del resto all'epoca non esisteva un numero ad hoc per le emergenze (c’era solo il 113 della Polizia), le ambulanze erano poche e in caso di necessità si mobilitavano solo i vigili del fuoco».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
I pionieri, tutti con un'età compresa tra i 30 e 40 anni, furono Michele Loiodice, Guido De Bellis, Marcello De Giglio, Michele Morgese, Franco Garello, Giovanni Mangano e Gioele “Amos” Pignone. Di quest’ultimo, conosciuto come “l’uomo più abbronzato di Bari”, ne abbiamo parlato anni fa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La loro prima sede fu un roulotte parcheggiata nella ditta di trasporti dove Pignone lavorava: lì, in un capannone situato in viale Europa, fu montata un'antenna che iniziò a "catturare" le domande di soccorso inviate alla questura dagli automobilisti in difficoltà. Lo stesso Gioele mise a disposizione il suo Maggiolone per recarsi sui luoghi degli incidenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Subito la neonata équipe organizzò un campo scuola nella foresta Mercadante, in modo da istruire chi si aggiungeva: in particolare fu mostrato come montare le tende e allestire una cucina. E purtroppo quegli insegnamenti furono subito messi in pratica. «Nel novembre del 1980 partecipammo ai soccorsi dovuti dal sisma dell'Irpinia - rammenta Vito -. Il giorno successivo alla scossa principale giungemmo a Balvano, in provincia di Potenza, dove cercammo di tirar fuori più superstiti possibili dalle macerie della chiesa locale, crollata mentre era pieni di fedeli per una messa».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Allora non esisteva la protezione civile e tra le varie squadre di volontari regnava grande disorganizzazione - continua il signore -. Nel nostro piccolo portammo cibo e acqua per i sopravvissuti: pur di sfamarli rimanemmo due giorni senza mangiare. E non dimenticherò mai la puzza delle coperte in fiamme che avvolgevano le salme dei caduti».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Da quel battesimo di fuoco in poi il Ser è cresciuto, sia nei mezzi che nelle competenze, dando il suo contributo in altri scenari apocalittici. «Eravamo presenti allo sbarco a Bari dei 20mila albanesi giunti a bordo della Vlora - racconta Giovanni - l'8 agosto 1991. Per contrastare il caldo li rinfrescavamo con gli idranti e li alimentavamo anche con le flebo. Vidi persino bambini affamati che addentavano saponette, scambiandole per dolci. E non potevamo lasciare un attimo incustoditi gli abiti da distribuire ai profughi: c'era sempre qualcuno che tentava di rubarli».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Un grande sostegno che si è rinnovato anche in altre situazioni estreme: i terremoti che hanno sconvolto L'Aquila nel 2009 e l'Albania lo scorso novembre, ma anche l'incidente ferroviario avvenuto tra Andria e Corato nel 2016. «Difficile scordarsi le lamiere roventi dalle quali estraemmo i cadaveri - evidenzia il volontario Riccardo Franco -. Uno scenario terribile: un treno sopra l'altro e file di corpi allineati vicino alle rotaie».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma il Ser opera soprattutto con piccole grandi azioni a favore dei più deboli, degli "ultimi". «Ogni giorno veniamo chiamati per le richieste più disparate - afferma Riccardo -. Il più delle volte ci interpellano gli anziani rimasti soli, magari per essere aiutati nel cambiare il catetere o per un attacco di vomito».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E il tutto grazie a un ricco parco veicoli, allestito tramite qualche donazione e tanti sacrifici personali dei volontari. «Tutto cominciò con "Carolina" - puntualizza Vito - il soprannome dato alla Fiat 238 che trasformammo nella nostra prima ambulanza. Oggi ne abbiamo sette, alle quali si aggiungono tre furgoni, una moto, alcune bici e un fuoristrada per raggiungere le zone più impervie».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L'associazione usufruisce dei contributi pubblici ed è convenzionata con Asl e Regione Puglia per gli interventi di primo soccorso. «Di fatti collaboriamo con la centrale operativa del 118 e la Protezione civile - precisa la segretaria Giovanna Franco -, mettendoci a disposizione con le nostre ambulanze. I mezzi partono dalle nostre tre postazioni, posizionate nell'ex Centrale del latte di via Orazio Flacco, nel centro direzionale della polizia di Japigia e nell'ex ospedale di Grumo Appula».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E nell'ultimo mese si è aggiunto lo stress dovuto al dilagare del nuovo Coronavirus. «C'è grande tensione quando trasportiamo in ospedale un possibile contagiato dal Covid-19 - ammette Riccardo -. Da un parte c'è l'ammalato, conscio che potrebbe non tornare a casa, dall'altra ci siamo noi che rischiamo di infettarci. Non a caso, ogni volta che effettuiamo un intervento del genere, dobbiamo poi liberarci dei pesanti dispositivi di protezione e sanificare il veicolo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Ma non ci fermeremo neanche ora – conclude Vito –: faremo ciò che c’è da fare, in silenzio. A muoverci, come sempre, sarà lo spirito di solidarietà: quel sentimento fortissimo che ogni uomo ha dentro di sé».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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Scritto da
Marianna Colasanto
Marianna Colasanto